Tecniche ottiche
Prof. Giovanni Paolella
Dott. Leandra Sepe
Prof. Mara Bevilacqua
Le tecniche ottiche si avvantaggiano degli effetti prodotti dal passaggio della luce visibile o di altre radiazioni elettromagnetiche attattraverso una sostanza e sono in grado di produrre informazioni qualitative e quantitative.
La rappresentazione della luce come radiazione elettromagnetica e’ di solito sufficiente a spiegare i fenomeni fisici implicati nelle tecniche ottiche di uso comune, ma talvolta e’ necessario fare specificamente riferimento ai fotoni.
Le radiazioni elettromagnetiche sono caratterizzate da una componente elettrica ed una magnetica perpendicolari fra loro e che vibrano in una infinità di piani ortogonali. Nelle radiazioni distinguiamo:
Una relazione di proporzionalita’ inversa lega frequenza e periodo: ν = 1/T.
Il prodotto λν e’ costante ed e’ uguale alla velocita’ di propagazione.
Nel vuoto λν = C, dove C e’ la velocita’ di propagazione della luce nel vuoto, circa 300.000 Km/s.
La tabella riportata in figura A riporta diversi tipi di radiazioni elettromagnetiche associando, a ciascuna, la propria lunghezza d’onda.
Lo spettro delle diverse radiazioni e’ continuo, e solo una piccola parte di questo corrisponde alla luce visibile, dal rosso, circa 350 nm, al violetto, circa 800 nm. Radiazioni di diversa lunghezza d’onda hanno un diverso contenuto energetico, che cresce al crescere della frequenza, come si osserva in figura B.
La spettroscopia studia l’interazione della radiazione con la materia. Questa interazione può essere spiegata sulla base della teoria quantistica: gli elettroni presenti in un dato orbitale atomico o molecolare hanno un livello energetico definito E0, che puo’ transitoriamente aumentare se eccitati da radiazioni di una particolare frequenza o lunghezza d’onda (vedi figura). Il ritorno allo stato basale puo’ associarsi all’emissione di radiazioni di diversa lunghezza d’onda.
Le tecniche spettroscopiche sono basate sullo scambio di energia che si verifica fra l’energia radiante e la materia. A seconda della tecnica di misurazione, distinguiamo:
La spettrofotometria di assorbimento è interessata ai fenomeni di assorbimento delle radiazioni luminose della regione del visibile (350 – 700 nm) e del vicino ultravioletto (200 – 350 nm). Quando una radiazione elettromagnetica attraversa una soluzione, una quota viene assorbita e la radiazione emergente avrà una intensità piu’ bassa. Se definiamo:
I0 = Intensità radiazione incidente,
IR = Intensità radiazione riflessa,
IA = Intensità radiazione assorbita,
IT = Intensità radiazione trasmessa,
risulta che I0 = IR + IA + IT
La legge di Lambert-Beer consente di calcolare facilmente la concentrazione (c) di una soluzione dalla misura dell’intensità della radiazione trasmessa IT quando sono noti l’intensità della luce incidente (I0), ed il cammino ottico (l):
IT / I0 = 10 -ecl
Il parametro ‘e’ è definito coefficiente di estinzione molare e rappresenta la densità ottica di una soluzione in cui concentrazione e cammino ottico sono uguali ad 1 (c = 1, l = 1).
Se si definisce l’assorbanza (E) come
E = ε c l,
questa risulta direttamente proporzionale alla concentrazione del soluto che sta assorbendo la luce. Se si introduce la trasmissione percentuale (T):
T = 100 IT/I0
sulla base della legge di Lambert-Beer:
Log T = 2 – log I0 / IT
Log T = 2 – E
E = 2 – Log T
Ne deriva che:
T varia da 0 a 100
E varia da 0 a ∞
Per una soluzione completamente trasparente T = 1 e E = 0, mentre per una soluzione completamente opaca T = 0 ed E = ∞
Lo strumento comunemente utilizzato in laboratorio per la misurazione della luce assorbita si chiama spettrofotometro (vedi figura), ed e’ costituito da alcuni elementi fondamentali, organizzati come segue:
1) sorgente di radiazione
2) selezionatore di lunghezze d’onda o monocromatore
3) cella
4) rivelatore
5) amplificatore e sistema di visualizzazione
Il campo di lunghezze d’onda misurate include tipicamente la luce visibile e l’ultravioletto.
La sorgente di radiazioni e’ la parte dell’apparecchio da cui prende origine la radiazione policromatica, contenente cioè tutte le lunghezze d’onda del campo richiesto, che viene diretta sul campione.
La sorgente deve essere in grado di emettere radiazioni nel campo di interesse. Negli strumenti che misurano la luce visibile e l’ultravioletta, sono presenti due diverse lampade, in modo da coprire l’intervallo da 190 a 800 nm:
· Lampade adatte solo per la luce visibile, che coprono le lunghezze d’onda comprese tra 350 e 800 nm (a filamento di tungsteno, lampade quarzo-iodio o lampade tungsteno-alogeno)
· Lampade adatte per ultravioletto, che coprono le lunghezze d’onda comprese tra 200 e 400 nm. Si usano lampade a scarica in un gas (deuterio o a idrogeno);
Gli spettrofotometri comunemente in uso hanno al loro interno queste due lampade, che vengono opportunamente selezionate dal meccanismo interno. Il valore di lunghezza d’onda in cui e’ necessario il “cambio – lampada” è in genere intorno a 350 nm.
Il monocromatore è il sistema ottico usato per disperdere la luce policromatica in bande monocromatiche, che possono essere inviate separatamente sul campione.
Esso e’ costituito da un elemento disperdente (prisma o reticolo), che separa le varie componenti della radiazione, e da una fenditura che permette la successiva selezione della banda desiderata.
Il fascio policromatico viene concentrato su un oggetto, tipicamente un prisma o un reticolo (figura 1), in grado di deviare le diverse radiazioni con angoli diversi: il successivo passaggio attraverso la fenditura di uscita selezionera’ radiazioni di lunghezza d’onda centrata intorno ad un particolare valore. La larghezza della fenditura determina l’ampiezza del range di lunghezze d’onda (figura 2): fenditure piu’ strette risulteranno piu’ selettive, ma lasceranno passare solo una piccola quantita’ della radiazione prodotta dalla sorgente.
La cuvetta, come quella rappresentata in figura, è un contenitore trasparente in cui viene inserito il campione, cioe’ la soluzione da esaminare. La geometria della cella determina il cammino ottico. Vetro o plastica possono essere utilizzati per la luce visibile, mentre per le radiazioni ultraviolette (UV), si usano cuvette di quarzo, piu’ trasparenti a quelle lunghezze d’onda.
La geometria e’ disegnata in modo da garantire un cammino ottico calibrato, tipicamente 1 cm, anche in presenza di volumi diversi, in dipendenza da specifiche esigenze sperimentali.
I rivelatori sono dispositivi capaci di produrre un segnale elettrico che dipende dall’energia della radiazione ricevuta. Tale segnale elettrico, proporzionale all’intensità luminosa, viene poi amplificato e trasferito a un indicatore.
Esistono diversi sistemi capaci di determinare l’intensità di una radiazione trasformando luce in energia elettrica.
Fotoresistenze o fototubi, dispositivi che cambiano le caratteristiche elettriche in funzione della quantita’ di luce che li colpisce
Fotomoltiplicatori, che sfruttano l’effetto fotoelettrico amplificato
Fotodiodi, semiconduttori sensibili alla luce, che possono anche essere usati in
serie di diodi per determinare lo spettro delle radiazioni.
Il segnale proveniente dal rivelatore viene opportunamente amplificato e se ne rileva l’intensità. Tramite un convertitore analogico/digitale e’ possibile convertire il segnale elettrico in un valore numerico proporzionale all’intensità del segnale.
Secondo la legge di Lambert – Beer l’assorbanza A è proporzionale sia alla concentrazione della sostanza assorbente, sia allo spessore dello strato attraversato, per cui, più elevata è la concentrazione delle molecole che passano dallo stato fondamentale a quello eccitato, maggiore sarà l’assorbanza (maggiore sarà la diminuzione dell’intensità del raggio incidente).
Ponendo pari a 100 il valore del segnale in assenza del campione, otteniamo la trasmittanza e da questa l’assorbanza. La calibrazione del valore zero (assorbanza nulla), viene effettuata utilizzando un campione costituito dal solo solvente (bianco).
Accoppiando un microprocessore o un personal computer allo strumento, e’ possibile ottenere i risultati dell’analisi direttamente sotto forma di concentrazione.
Gli spettrofotometri UV-visibile si distinguono in:
Il principale limite dei sistemi monoraggio (schematizzati in figura) sta nel fatto che per ogni misura, si deve ripetere l’azzeramento contro il bianco, oppure registrare prima lo spettro del bianco, poi lo spettro del campione ed infine sottrarre al secondo il primo. Per effettuare le misurazioni in uno strumento monoraggio si procede infatti come segue:
1) Si mette nella cuvetta il solvente e si misura l’Intensità.
2) Si lava la cuvetta.
3) Si mette la soluzione e si misura l’intensità.
4) Si fa il rapporto fra le due intensità
Negli spettrofotometri a doppio raggio il sistema e’ doppio e invia due raggi, identici per frequenza e intensità, uno attraverso il campione e l’altro attraverso il bianco, per cui si ha un confronto continuo tra l’assorbanza del campione e quella del bianco. Grazie a queste caratteristiche è possibile effettuare misure direttamente senza ripetere azzeramenti, e soprattutto registrare continuativamente lo spettro di assorbimento.
In figura e’ rappresentato un sistema a doppio raggio. La radiazione proveniente dal monocromatore si divide in due raggi che sono inviati contemporaneamente al campione da analizzare ed al campione contenente il solo solvente (bianco). Il primo raggio passa attraverso il campione ‘bianco’ e costituisce il riferimento per la misurazione. Il secondo raggio passa attraverso il campione da analizzare e fuoriesce con l’Intensità trasmessa daI campione. Il sistema di rivelazione registra entrambe e calcola il rapporto.
Perché sia possibile misurare la concentrazione mediante fotometria, occorre che la soluzione in esame contenga molecole capaci di assorbire radiazioni nelle regioni visibili dello spettro. I valori di radiazione trasmessa T sono convertiti in assorbanza A se sono noti il coefficiente di estinzione molare e il cammino ottico.
Conoscendo il valore dell’assorbanza del campione, si può determinare per interpolazione il valore della sua concentrazione.
Per risalire dai valori di E alla concentrazione della soluzione in esame:
Molte molecole assorbono la luce. Tutte le soluzioni colorate assorbono alcune delle radiazioni che costituiscono la luce bianca e lasciano passare tutte le altre. Una soluzione incolore non assorbe radiazioni che costituiscono la luce bianca, ma spesso assorbe radiazioni a lunghezza d’onda comprese nell’ultravioletto o nell’infrarosso. E’ possibile misurare la concentrazione con metodiche diverse. Si distinguono:
Amminoacidi = ninidrina (570nm)
Proteine = biureto (540 nm)
Zuccheri = proprietà riducenti
Enzimi = substrati o prodotti
Reazioni enzimatiche accoppiate, in cui il prodotto viene utilizzato come substrato in un’altra reazione nella quale è coinvolta una sostanza cromofora, possono essere usate per studiare reazioni enzimatiche in cui ne’ il substrato ne’ il prodotto sono capaci di assorbire radiazioni. Esempi sono:
Glucosio + O2 + H2O = ac. Gluconico + H2O2
H2 O2 + sost. ridotta (incolore) = sost. colorata
Glucosio + ATP = Glucosio-6-fosfato + ADP
Glucosio-6-fosfato + NADP = 6-fosfogluconato + NADPH
La riduzione dell’anello nicotinamidico produce una nuova banda di assorbimento della luce con un massimo a 340 nm
La spettrofluorimetria e’ una tecnica ottica di analisi qualitativa e quantitativa basata sul fenomeno della fluorescenza. La fluorescenza è un fenomeno di emissione di una radiazione elettro-magnetica che si verifica in seguito ad una transizione elettronica da uno stato energetico superiore ad uno inferiore. Affinché il fenomeno possa avvenire è necessario che una molecola si trovi in uno stato eccitato. L’energia della radiazione emessa è sempre inferiore a quella assorbita, pertanto avrà una frequenza inferiore e lunghezza d’onda superiore.
In figura A e’ riportata una rappresentazione schematica di uno spettrofluorimetro. Anche in spettrofluorimetria si distinguono:
· Metodi diretti, che sfruttano la fluorescenza intrinseca delle molecole da analizzare (Proteine 300-350 nm, Gruppi prostetici 400-600 nm)
· Metodi indiretti, che sfruttano le proprietà di sostanze che diventano fluorescenti in seguito alla loro interazione con le sostanze da analizzare. In figura B sono riportati, per esempio, il cloruro di dansile (DNS), l’acido 1-anilinonaftalen-8-solfonico (ANS), l’etidio bromuro (EtBr).
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